Conflitti e violenze a Cabo Delgado aggravano la crisi umanitaria in corso

Cabo Delgado continua a essere teatro di violenze sempre più efferate da parte di gruppi armati di matrice islamica. Tutto questo mentre si aggrava la situazione di cronico sottosviluppo, si susseguono shock climatici e si diffondono epidemie. 

 

Sono passati ormai tre anni dal primo attacco terrorista a Mochimboa da Praia, rivendicato dalle milizie jihadiste conosciute come Al-Shabaab. Tre anni, per gli analisti, sono il tempo sufficiente perché una ribellione si trasformi in una grave crisi  (Observatorio do Meio Rural, 2020). Secondo un report di Amnesty International è proprio a partire dai primi mesi del 2020 che gli attacchi sono cresciuti del 300% rispetto all’anno precedente (https://www.amnesty.org/en/latest/news/2020/10/mozambique-no-justice-for-victims-of-three-year-conflict-in-cabo-delgado-which-has-killed-over-2000/).

L’ultimo terribile attacco risale a poche settimana fa, quando un gruppo di terroristi ha assaltato due villaggi fra la zona di Miudumbe e Macomia uccidendo 50 civili in maniera brutale: secondo le ricostruzioni il gruppo ha inizialmente bruciato e distrutto gli edifici per poi radunare i civili all’interno di un campo da calcio. Hanno sparato sulla folla e poi hanno proseguito il massacro di cinquanta persone a colpi di machete (https://www.avvenire.it/mondo/pagine/50-persone-decapitate-capo-delgado-mozambico-daesh-isis)

Nella mappa è indicata la zona in cui si sono verificati gli ultimi attacchi

La debole risposta del governo

Oltre che aumentare la velocità e l’intensità delle violenze, gli attacchi sono sempre più strutturati. Le campagne terroristiche dividono la popolazione: la maggior parte fugge verso sud, alcuni riescono ad essere cooptati dalle bande per paura o con la promessa di guadagno facile. Nel frattempo, il governo non riesce a mettere in campo una risposta consistente. Secondo alcuni esperti infatti l’esercito mozambicano non è fornito di un adeguato armamento, né preparazione militare o logistica. Ma soprattutto, non ha l’appoggio della popolazione. Molti di loro disertano e per questo il governo si trova a contrattare mercenari. Nel frattempo la minaccia del terrorismo nella regione diviene preoccupazione per i paesi vicini e anche per le potenze oltreoceano: gli USA avrebbero chiesto allo Zimbabwe di supportare militarmente Maputo per sopprimere l’insurrezione, dato che è in ballo la destabilizzazione di un’area ricca di gas, dove operano ENI, ExxonMobil e Total che vale 60 miliardi di USD (https://www.africa-express.info/2020/10/06/usa-chiedono-a-zimbabwe-intervento-militare-contro-i-jihadisti-in-mozambico/). Lo Zimbabwe, nella figura del suo presidente Mnangwagwa, è a capo dell’organo della SADC (Southern African Development Community) che si occupa della politica per la difesa e la sicurezza. Tuttavia, la richiesta di aiuto da parte del Governo mozambicano è arrivata troppo tardi, dopo due anni dall’inizio degli attacchi, categorizzati fino ad ora come episodi di comune criminalità (https://www.notiziegeopolitiche.net/sadc-il-vertice-e-stato-incentrato-sulla-insurrezione-islamista-in-mozambico/).

Risulta molto complesso delineare un quadro chiaro di quello che si sta verificando nella regione, molti istituti di ricerca denunciano la riluttanza del governo centrale nel fornire informazioni, anche quando il cosiddetto FDS del governo (Força de Defesa e Segurança) compie operazioni di successo. Molti giornalisti e ricercatori vengono aggrediti o imprigionati e l’unico modo per raccogliere dati e informazioni è attraverso le organizzazioni internazionali o le testimonianze oculari delle vittime degli attacchi.

La gestione della crisi umanitaria

La zona nord della provincia si sta svuotando a seguito delle continue fughe della popolazione, stremata dalla situazione di insicurezza e paura. La maggior parte degli sfollati si dirige laddove le condizioni di sicurezza sono migliori e si riesce ancora a portare aiuto umanitario: secondo i dati di IOM a ottobre il numero degli sfollati interni era di 302.210, di cui 78.181 nella città di Pemba, 38.325 a Metuge, 36.000 a Montepuez, 31.816 ad Ancuabe e 21.387 a Mueda. A Pemba continuano ad arrivare decine di imbarcazioni con migliaia di individui sfollati, disidratati e terrorizzati. (INTEGRAÇÃO SOCIOECONÓMICA DOS DESLOCADOS INTERNOS EM CABO DELGADO – UM DESAFIO NACIONAL, Observatorio do Meio Rural 2020).

Nell’immagine seguente sono indicate le zone dove sono presenti ribelli armati (Mappa 1 sulla sinistra) e la distribuzione degli individui sfollati interni (Mappa 2 sulla destra):

 

 

La capacità di risposta delle organizzazioni internazionali presenti in loco nel dare aiuto umanitario però diventa sempre più lontana dalle esigenze, a causa dell’aumento del numero degli sfollati e del debole aiuto del governo provinciale. A settembre di quest’anno è stata creata una Commissione provinciale per il supporto sociale e la ricostruzione, con l’obiettivo di coordinare e organizzare i vari distretti con l’arrivo degli sfollati, in stretta collaborazione con le organizzazioni umanitarie.

Secondo l’Observatorio do Meio Rural, gli sfollati si trovano ancora in attesa di essere inseriti in strutture di accoglienza, mentre quelli che ci sono riusciti, lamentano condizioni precarie di vita, con distribuzione diseguale dei beni di prima necessità. Nonostante ciò, le organizzazioni internazionali presenti come il Programma Mondiale Alimentare, la Caritas, le  organizzazioni musulmane e i volontari si sforzano di promuovere campagne di distribuzione alimentare, prodotti di igiene e vestiario per tutti. La situazione però è ormai allo stremo: i problemi riscontrati vanno ben oltre i disagi fisici. Molte persone soffrono di stress post-traumatico dovuto alle violenze subite e la situazione di disoccupazione, di attesa incessante e di mancanza di prospettive alimenta la depressione.

Secondo l’OCHA (UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) più di 710.000 persone tra famiglie residenti e sfollati, sono in condizione di estrema insicurezza alimentare (https://reports.unocha.org/en/country/mozambique/), donne e bambini sono le categorie più a rischio di ricevere abusi, incluso il reclutamento forzato e la violenza sessuale.

Mentre dunque il governo cerca aiuti militari altrove e la situazione comincia seriamente a preoccupare sia le potenze regionali che quelle con forti interessi economici nell’industria estrattiva, i terroristi continuano ad espandersi e uccidere brutalmente i civili. Il grado di strutturazione degli attacchi è aumentato nel corso di questi due anni in cui la minaccia di terrorismo è stata sottovalutata.

Nel frattempo, un’intera generazione di giovani è sacrificata a causa del conflitto. In una regione in cui già bambini e ragazzi trovavano difficoltà strutturali di accesso all’educazione, la fuga e le condizioni di precarietà che trovano nelle zone di accoglienza creano ancora più esclusione.

 

Chiara Spatafora – 17 novembre 2020