Da inizio anno alle porte dell’Unione Europea, in Bosnia Erzegovina, migliaia di ‘persone in transito’, migranti e richiedenti asilo sono bloccate in condizioni disumane e in pericolo di vita.
Per fermare questo ennesimo disastro umanitario sulla cosiddetta “rotta balcanica” ad inizio 2021 è partita spontaneamente una catena di solidarietà da diverse parti d’Italia con conferenze, dibattiti, raccolta di denaro, indumenti e altro.
Anche la rete Iscos, attiva da anni in Bosnia Erzegovina con le sue strutture regionali di Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana, si è attivata con un’azione di sensibilizzazione, solidarietà e pressione politica, per prestare soccorso in loco e continuare a lottare, insieme all’Anolf e al mondo Cisl, per rimuovere le cause di questa grave violazione dei diritti umani.
L’azione è partita a Febbraio 2021 e ha già visto la produzione di un documento condiviso da CISL, Anolf e Iscos per richiamare l’attenzione sulla problematica (consultabile e scaricabile qui a lato in italiano, inglese o tedesco), la realizzazione di diversi webinar sul territorio nazionale con la partecipazione di giornalisti, scrittori, attivisti, europarlamentari e sindacalisti, e la creazione di video con immagini inedite e testimonianze raccolte in loco che descrivono in modo inequivocabile la situazione. E’ possibile rivedere i webinar cliccando sul tasto play sotto le locandine.
Siamo attivi anche con una raccolta fondi in favore della Croce Rossa di Bihać, che nel Cantone di Una-Sana in Bosnia Erzegovina, svolge un’attività fondamentale di distribuzione di generi alimentari e non, supporto psicologico e assistenza sanitaria, in favore delle migliaia di persone in transito. Ogni piccolo contributo può essere fondamentale.
Con il contributo di
Webinar
Podcast
I WALK THE LINE, un podcast curato da ISCOS ER e ANOLF RAVENNA ODV parla di migrazione lungo la rotta balcanica. Sentirete le testimonianze di attivisti per i diritti umani, membri di associazioni e persone che hanno deciso di dedicare il loro tempo e la loro energia per sostenere le persone in movimento. ISCOS ER e ANOLF Ravenna ODV sono andati ad intervistare quelle realtà che meglio di tutti ci possono raccontare quello che succede alle porte dell’Unione Europea.
Videogallery
Le persone in transito sulla rotta balcanica
La situazione delle persone in transito in BiH
Condizioni di vita lungo la rotta balcanica
Estratti del webinar sulla rotta balcanica
La situazione nel Cantone di Una-Sana
La Croce Rossa di Bihać
Notizie dalla rotta balcanica
Situazione nella città di Tuzla
Testimonianza
Storie
Alcuni dei nostri incontri in Bosnia Erzegovina
e le loro storie di solidarietà, coraggio e speranza.
ANELA
‘Mother Anela’ di Bihać che aiuta da 4 anni le persone in movimento per conto suo. Porta cibo, vestiti e sigarette a chi ne ha bisogno.
Incontra i giovani negli squat, ci va la sera da sola senza problemi anche se si preoccupano tutti per lei: “è pericoloso venire da sola di notte”.
Passa del tempo con loro, li parla, trova il modo di risolvere i loro problemi… trova un dentista che accetta di curare Mustapha,
trova delle scarpe, uno spazzolino o un telefono. Per questi gesti di solidarietà che per lei sono naturali e ovvi, subisce quasi quotidianamente
le minacce dei propri vicini di casa e dei suoi concittadini.
MUSTAPHA
Mustapha e i suoi amici allo squat della Krajina Metal, una fabbrica dismessa o ‘the factory that is producing migrants’, scherza lui.
Circa 300 persone, molto giovani, da Afghanistan e qualcuno dal Pakistan vivono qui. Mustapha ha 26 anni e da 3 anni vive qui dentro,
esce solo quando è necessario e non ricorda quante volte ha fatto il game dal suo arrivo. Quest’anno, 12 volte – crede – e ce ne saranno altre.
Ci accoglie con il sorriso e lo seguiamo verso il suo capannone abbandonato. Nel frattempo, tanti giovani ci salutano sul nostro passaggio.
Arriviamo in questo spazio enorme dove dormono forse 50/60 persone, difficile dirlo al buio. Hanno cucinato per noi e sono andati a prendere bevande fresche.
Anela li aveva avvertiti del nostro arrivo. Parlano e scherzano, hanno tanta voglia di umanità, contatto, di parlare con qualcuno. Di essere qualcuno.
Le lucciole volano vicino a noi intanto che Mustapha ci racconta che a Kabul, ha 7 sorelle e un fratello, lui è partito circa 5 anni fa da solo,
scappando dai talebani e dalle autobombe. Quando Marion gli risponde che è francese dice con tanto entusiasmo “oh, we are going in your country!”
e a noi che veniamo dall’Italia “oh we are going to your country too!”. Ceniamo con loro passando da una risata all’altra anche se ci racconta
come partono per i game, a volte senza quasi niente. Ci racconta come sono dovuti fermarsi, desidratati dopo aver caminato una notte intera nei boschi.
Ci racconta quando sono andati a cercare un amico che pensava di non farcela. Ci racconta come tornano dai game, respinti dalla polizia,
con ancora meno cose di prima. E noi sentiamo queste storie mangiando il cibo buonissimo cucinato apposto per noi, lui racconta col sorriso,
scherzando con i suoi amici come se fossero piccolezze della quotidianità. Sono “Rich in heart”, come dice.
Andrà tutto bene.
ZEHIDA
Zehida è la più attiva a Velika Kladuša. Accorre in 5 minuti quando Tamara la chiama per portare aiuto a una famiglia afgana.
Apre il baule dell’auto e ne estrae biberon, sali minerali, giocattoli, pannolini, vestiti, un paio di borsette per i bambini e un bambolotto.
E’ stata minacciata dai suoi concittadini, tormentata, umiliata, seguita, aggredita perché considerata ‘the terrorist mother’.
Sembra di essere il prezzo da pagare per voler il bene di tutti senza distinzione. Ha chiesto protezione alla polizia, alle autorità locali senza ottenere nulla.
Ha deciso di chiedere supporto al di là delle frontiere della Bosnia Erzegovina. Da qualche anno, un’ONG internazionale
la protegge come attivista per i diritti umani in pericolo di vita, ha una consulenza legale permanente e grazie a questa ONG,
ha telecamere attorno al perimetro di casa suae nell’auto per registrare chiunque abbia cattive intenzioni nei suoi confronti. Zehida ci spiega che come lei,
altre persone vorrebbero aiutare ma la paura li frena.Piange al pensiero che il prossimo anno ci saranno nuovamente le elezioni amministrative in Bosnia
e il clima tornerà a peggiorare per lei,per i migranti e per chi cerca di portare loro qualche piccolo aiuto.
FAMIGLIA AFGANA
Una famiglia afgana con 3 bambini. La più piccola ha 11 mesi, il fratello ne ha 3/4 e la più grande 7/8 anni. Li incontriamo per caso nei boschi, vicino a Velika Kladuša.
Sono provati dal game, respinti dalla polizia croata al confine… La mamma piange, i bambini grandi mangiano un gelato e giocano tra di loro,
isolandosi dal contesto come solo i bambini sanno fare. Il padre è l’unico a parlare un po’ inglese e ci racconta che alla guardia di frontiera, ha implorato:
“my baby is sick” ma gli hanno risposto “No, she is still alive so she is good! ”. Trattiene a malapena le lacrime. Aniah la piccola è stata cambiata,
idratata e si è ripresa. Mancano ancora 30 chilometri con 35° gradi prima di arrivare al loro rifugio. Vorremmo tutti portarli in macchina fin là pero è troppo pericoloso.
Ce lo dice anche Zehida: non possiamo assolutamente prendere questo rischio. La polizia non ce lo permette.
SENAD
Se andate nel bar vicino alla stazione di Tuzla, troverete Senad, starà probabilmente parlando con qualche giovane migrante della zona.
Parcheggiamo vicino alla stazione e raggiungiamo Senad al bar che ci sta già aspettando. Con un grande senso dell’umorismo, ci racconta
aver lavorato 14 anni per lo stesso giornale ed essere stato licenziato per essersi impegnato ad aiutare i giovani e per aver provocato il sindaco che non li sosteneva.
Senad provoca e ride. Nel mezzo dei racconti, arriva un ragazzo e chiede qualcosa o semplicemente saluta. Viene dalla Somalia, dall’Algeria, dal Marocco…
Questo bar è l’unico che accetta di servire da mangiare e da bere ai giovani. Ogni giorno, Senad si siede lì, beve un caffè, accende una sigaretta e passa del tempo con loro,
gli chiede se hanno bisogno di qualcosa, li sostiene. Come per Anela o Zehida, aiutare è una battaglia infinita contro l’opinione della maggioranza
ma Senad è deciso e continua dedicando loro tempo ed energia, a volte a scapito della sua salute.
MEHDI
Mehdi è arrivato in Bosnia Erzegovina un anno e mezzo fa. Ha 25 anni e viene dall’Algeria. Dopo un diploma professionale, ha lottato per anni cercando lavoro nel suo paese,
vivendo con uno stipendio miserabile. Se n’è andato sperando di trovare da qualche altra parte migliori condizioni di vita e un lavoro dignitoso.
Con il sorriso, con un tono di voce molto calmo, ci racconta… Quanto è stato difficile vivere senza niente e quanto era terribile avere finalmente qualcosa
e non trovare nessun posto che accettasse i soldi contro una doccia, del cibo, una notte in un posto sicuro… Ci racconta la volta in cui l’hanno messo due giorni
in carcere in Grecia, da solo, senza dirgli quando sarebbe stato liberato o se lo sarebbe stato. Ci dice ridendo che quella volta, ha anche pianto, come se stesse svelando una debolezza.
Ci parla dei fiumi che ha attraversato, della difficoltà del game in Croazia quando vengono a mancare i viveri. Quando commentiamo:
« it’s such a complicated situation », risponde « yes, but I’m alive! ». La storia è lunga, il viaggio è lungo, i game sono stati una trentina.
Ha visto molte città in Bosnia ma quella dove si trova meglio è Tuzla. Come altri, arrivare in un paese dell’UE gli sembra impossibile per adesso.
Ci ha provato tante volte ed è stanco. Ha finalmente fatto la richiesta di asilo e segue lezioni di bosniaco.
Lo aggiunge al ventaglio di lingue che padroneggia già: arabo, francese e inglese. Ci dice:
È da sei mesi che sto bene. Ho amici, ci sono persone che mi aiutano… Avevo dimenticato questo sentimento: l’amore.
SABINA
Sabina ci accoglie nella sua Safe house in Montenegro che gestisce da sola, aiutata ogni tanto da suo fratello, sua sorella e sua figlia.
Dal 2017, ha accolto più di 10 000 migranti. I paesaggi tra la Safe house e la frontiera bosniaca sono bellissimi ma ostili per chi deve camminare
chilometri prima di arrivare al confine: boschi fitti di abeti e pini altissimi. Il tempo è piacevole a luglio ma guardando le montagne,
è possibile immaginare il freddo dell’inverno e la neve infinita. Alcune persone in transito hanno avuto la fortuna di incontrare Sabina e le sua braccia confortanti.
Sabina accoglie. ´Accoglie’, nel senso più puro della parola. Offre vestiti, doccia, cibo, affetto, risate, pace e sicurezza.
Anche lei deve affrontare la polizia e il vicinato ma dice chiaramente « I’m not scared » e si commuove quando ci mostra le foto delle persone
che hanno vissuto da lei, una notte, tre mesi o un anno… e ci ripete « all my migrants are great! I love my migrants ».
Li tratta tutti come dei figli e ama con tutto il suo cuore. Ha ancora contatti con più di 200 di loro: si scrivono e la chiamano da tutta l’Unione Europea.
Con la sua associazione Bona Fide, coltiva le sue proprie verdure in due grande serre per essere autosufficiente.
Nei periodi più difficili dell’anno in cui mancano le risorse per comprare da mangiare, le coltivazioni sono la loro salvezza.
INES
Ines ci accoglie nella sua associazione Kompas a Sarajevo dove incontriamo anche Ilma che lavora con i migranti a tempo pieno.
Entriamo in un piccolo salone con uno spazio riservato al barbiere/parrucchiere; in fondo alla stanza, ci sono scaffali con vestiti, prodotti per l’igiene, power banks…
Alla nostra sinistra, un magazzino con quattro lavatrici in movimento. In fondo alla stanza principale, c’è un’altra stanza con una zona ufficio.
Al piano superiore, c’è un appartamento per i migranti che intanto che sono ospitati lì, fanno volontariato per l’associazione.
Mentre siamo seduti intorno al tavolo a parlare, si ferma un’auto proprio fuori dalla porta, scende un uomo, Ines lo saluta e gli chiede ‘hai qualcosa per noi?’,
‘sì, scarpe!’. Wow, e iniziamo a scaricare circa 40 nuove paia di scarpe. L’uomo è della Chiesa battista di Sarajevo e anche loro ogni tanto aiutano come possono.
Ines ci racconta le storie di alcuni dei migranti che ha incontrato: quelli che sono riusciti a passare il confine e quelli che sono ancora lì in attesa di partire.
Quelli che sono morti nel tentativo. Ci parla delle difficoltà psicologiche vissute dai migranti, della depressione e dell’importanza per loro di avere un’attività,
un ruolo da svolgere, di occupare le loro giornate e di essere riconosciuti e considerati. Parliamo molto con lei anche della sofferenza psicologica e dello stress,
delle frustrazioni che subiscono le persone che aiutano i migranti. Riconosce le difficoltà del loro compito e la necessità di avere un sostegno psicologico esterno per non crollare.
Tuttavia, sembra che a Sarajevo le relazioni con il quartiere e la polizia siano meno complicate che in altre città in cui siamo stati prima.
Dice che vedono così tante cose, sentono così tante storie, sono costantemente interpellati e delusi da quello che succede intorno a loro.
Non è facile affrontare il mondo in cui viviamo quando ne vediamo le conseguenze. Rimane positiva e non rimpiange di aver scelto questa strada.
Il suo impegno è enorme e cerca sempre nuovi modi di fare la differenza. Ines ha iniziato come attivista, volontaria, da sola, con la sua famiglia,
sette mesi fa ha costituito e formalizzato Kompas e oltre a Sarajevo è attiva a Bihać e vorrebbero anche a Zenica.
LIPA OGGI vs LIPA DOMANI
Il campo oggi è una tendopoli in mezzo ad una radura, lontano dalla città più vicina (Bihać), lontano dal confine, in mezzo ai boschi.
E’ caldissimo d’estate, freddissimo d’inverno. Abbiamo visitato le cucine in autogestione (l’unico spazio reso umano dalla creatività,
la voglia di stare insieme e di socialità degli uomini e dei ragazzi presenti), alcune tensostrutture donate da ONG internazionali per attività collettive (pregare e mangiare),
i bagni e le docce; forse poche per le quasi 800 persone oggi presenti. Non ci hanno consentito di fotografare le tende militari dove dormono in ognuna decine di persone ammucchiate.
Lipa è oggi gestito dalle autorità bosniache in collaborazione con alcune organizzazioni locali.
Di fianco alla tendopoli, laddove sono bruciate le tende e le strutture in dicembre 2019, sulle ceneri del famoso campo che tanta indignazione
ha provocato lo scorso inverno e che ha persino scomodato le principali testate giornalistiche italiane ed europee, mobilitato donatori e attivisti,
si sta costruendo il Nuovo Lipa. Un vero e proprio campo permanente dotato di containers (probabilmente per le famiglie), enormi tettoie per refettori e spazi comuni,
recinzioni, cancelli, botteghe e shops. Una piccola cittadella insomma dove rinchiudere gli ‘indesiderati’. Quanti? 2.000, 3.000 forse?
Per il Nuovo Lipa si stanno spendendo i fondi dell’Unione Europea (i nostri soldi), dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (organismo dell’ONU),
USAID e altri organismi e governi internazionali (come il Governo tedesco).