Donne in Nero di Serbia: un altro anno di lotta
Žene U Crnom Srbija
Sono ormai anni che la Serbia sta scivolando verso un regime autoritario e populista, almeno dal 2012, anno in cui il Partito Progressista Serbo, di ideologia nazionalista e conservatrice, è salito al potere. Questo processo sembra essersi accelerato dal 2017, quando, dopo aver rivestito altri importanti incarichi governativi negli anni precedenti, Aleksandar Vučić diventa Presidente della Repubblica. Tramite la costruzione di una rigidissima struttura gerarchica all’interno del partito, infatti, Vučić ha accentrato gran parte dei poteri sulla sua figura, creando una società fortemente corporativistica: ogni istituzione è controllata dal partito, e la stampa e le OSC, così come gli oppositori politici, vengono continuamente attaccati per ridurre il dissenso. Inoltre, la retorica usata riguardo ai diritti dei migranti, delle donne e della comunità LGBT è la stessa degli altri regimi autoritari dell’Europa orientale come Ungheria e Russia. C’è anche da sottolineare il particolare rapporto esistente tra Russia e Serbia a partire dallo scoppio del conflitto in Ucraina: il Partito Progressista Serbo, infatti, è sulla carta favorevole ad un avvicinamento della Serbia all’Unione Europea, ma allo stesso tempo mantiene forti relazioni culturali, politiche ed economiche col regime di Putin. Infatti, la Serbia è l’unico Paese dell’Europa geografica a non essersi unito alle sanzioni economiche adottate dall’UE nei confronti della Russia.
Questa svolta autoritaria è confermata anche da quanto accaduto in seguito allo svolgimento delle elezioni parlamentari e amministrative del 17 dicembre 2023. La tornata elettorale, infatti, è stata vinta senza sorprese dal Partito Progressista Serbo del Presidente Vučić, ma dal giorno stesso le opposizioni hanno denunciato i brogli del partito vincitore, e anche molti osservatori locali e internazionali hanno segnalato diverse irregolarità nel voto: manipolazione delle urne e compravendita di voti, ma anche la presenza di mezzi di informazione fortemente sbilanciati dalla parte del Presidente e un’eccessiva influenza di quest’ultimo sul discorso pubblico. Queste accuse sono state bollate da Vučić come bugie fatte circolare dall’opposizione. Dalla domenica successiva al voto, particolarmente a Belgrado, sono iniziate una serie di violente proteste, in cui alcuni manifestanti hanno cercato di fare irruzione nel municipio, dove ha sede la commissione elettorale locale. La polizia, in tenuta antisommossa, ha risposto sparando spray al peperoncino contro la folla, ma anche inseguendo e picchiando i manifestanti che si trovavano lontani dal municipio, tra cui Radomir Lazović, leader del Fronte dei Verdi-Sinistra, partito di opposizione.
È quindi chiaro come la Serbia stia vivendo sempre più un periodo di forte riduzione delle libertà democratiche, e che si stia trasformando in una cosiddetta democrazia illiberale, o democratura, secondo la famosa espressione del compianto Predrag Matvejević, ed è in questo particolare contesto che si muovono le Donne in Nero (Žene U Crnom Srbija), che ISCOS Emilia-Romagna ETS sostiene da diversi anni. Si tratta di un network di donne di orientamento femminista-anti militarista, fondato nel 1991 in Serbia, che organizza manifestazioni per la pace, per i diritti umani e in particolare per i diritti delle donne, e contro la violenza e la militarizzazione degli Stati. Nel corso della sua attività le Donne in Nero hanno organizzato oltre 700 iniziative nella regione, tra cui proteste contro le Guerre dei Balcani e contro la dittatura di Milosevic negli anni ‘90. Una parte importante delle loro azioni riguarda le commemorazioni per le vittime civili del conflitto degli anni ‘90 e la sensibilizzazione della popolazione sui crimini di guerra, con l’obiettivo di rendere la società serba più pacifica, inclusiva e consapevole della propria storia.
Ogni anno, le Donne in Nero continuano a visitare i luoghi più importanti e simbolici del conflitto nell’ex Jugoslavia degli anni ’90, per portare sostegno alle famiglie delle vittime e rendere omaggio ai defunti. Anche nel corso del 2023 hanno partecipato a cinque manifestazioni commemorative organizzate, quali gli anniversari dei massacri di Štrpci, Belgrado, Zvornik e il genocidio di Srebrenica. Per ricordare le vittime di questi crimini sono state organizzate visite a targhe e monumenti commemorativi, ad ex campi di concentramento e cimiteri, sono state svolte lezioni di storia e proiezioni di film e hanno partecipato anche loro, l’11 luglio, alla sepoltura dei resti di 30 vittime del genocidio di Srebrenica. Inoltre, come ogni anno, le Donne in Nero hanno partecipato alla Marcia della Pace, della durata di 3 giorni per oltre 100km, che ha l’obiettivo di rendere omaggio alle vittime del genocidio e di ricordare la loro fuga dalle atrocità compiute dalle forze armate serbe.
Le Donne in Nero hanno anche organizzato varie manifestazioni, street action, anche in questo caso in commemorazione dei crimini compiuti durante e dopo la guerra, che sono consistite principalmente nell’esposizione di striscioni, nella lettura in pubblico di dati e fatti riguardanti i massacri e nell’installazione di memoriali. Tra le azioni più partecipate c’è stata sicuramente quella del 10 luglio organizzata in Piazza della Repubblica a Belgrado, in occasione del 28esimo anniversario del genocidio di Srebrenica, dove non sono mancati disordini. Durante il flash mob, infatti, una ventina di persone radunate in piazza hanno iniziato ad insultare e ad urlare contro le attiviste, accusandole di tradimento e negando il genocidio commesso a Srebrenica. Quello del negazionismo, purtroppo, è un fenomeno molto vivo in Serbia: ancora in troppi ribadiscono che il numero di morti è stato esagerato e che le vittime erano in realtà principalmente combattenti. Questa narrazione viene in parte portata avanti anche da parte della classe politica serba: l’ex presidente Nikolić (Partito Progressista Serbo), nel 2013, si scusò per i crimini di guerra compiuti dal suo Paese in Bosnia-Erzegovina, ma si è sempre rifiutato di usare il termine ‘genocidio’, nonostante la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 2007. Anche l’attuale presidente Vučić ha rilasciato dichiarazioni dello stesso tenore.
Le Donne in Nero hanno preso parte e organizzato varie iniziative sulla guerra in Ucraina, con l’organizzazione di alcuni incontri e dibattiti sul tema. In molti di questi hanno ospitato e parlato della situazione degli attivisti russi fuggiti dal loro Paese perché contrari alla guerra in corso, che non trovano vita facile in Serbia, anche per questioni amministrative e di permessi di soggiorno. Si è parlato molto della responsabilità della Russia nello scoppio della guerra e la questione dell’invio delle armi all’Ucraina, argomenti che sono risultati divisivi e hanno creato discussioni tra le diverse parti, con le attiviste in nero che hanno ribadito la loro posizione antimilitarista e a favore della diplomazia.
Anche questi incontri di pace sono stati accompagnati da una serie di azioni concrete, come l’assistenza ai rifugiati ucraini che si trovano nei centri di accoglienza, il sostegno agli attivisti pacifisti russi a Belgrado e l’organizzazione di manifestazioni contro le guerre, contro la violenza sulle donne, contro il fascismo, il razzismo e contro la messa al bando del movimento LGBT in Russia, in occasione di importanti giornate internazionali.
In ottobre, la principale portavoce delle Donne in Nero di Serbia, Staša Zajović, ha partecipato, invitata da ISCOS Emilia-Romagna ETS, al Festival Balkanika – Sarajevo mon Amour, in particolare il suo contributo è stato fondamentale nella conferenza che si è tenuta presso il Museo Cervi a Gattatico su L’Europa muore o rinasce a Sarajevo? – Eredità e attualità di Alex Langer nei Balcani dove, oltre a Staša, sono intervenute anche Elisabetta Gualmini – Europarlamentare, Paolo Bergamaschi – già consigliere politico presso la Commissione Esteri del Parlamento Europeo e stretto collaboratore di Alexander Langer e Sabina Langer – Fondazione Langer. Particolarmente toccante infatti è stata la testimonianza personale di Staša e il suo ricordo del ‘pacifismo concreto’ di Alex Langer anche durante il conflitto balcanico (A. Langer, Quei ponti sulla Drina, Edizioni Infinito pagg.73-77).
L’impegno delle Donne in Nero è cruciale, specialmente in un Paese come la Serbia che rischia di cadere in una spirale autoritaria da cui poi sarà difficile uscire. È essenziale che le organizzazioni della società civile continuino a promuovere la consapevolezza e ad incoraggiare la partecipazione della popolazione. In un tale contesto, il sostegno alla democrazia e alla libertà deve nascere dal basso, dalla base della società.