Diario di viaggio – Senegal, terra della Teranga

Porto di Cap Skirring, gennaio 2023

CAPITOLO I – Viaggio nel tempo sull’isola di Gorée

Quando siamo arrivati sull’isola di Gorée, la nostra guida ci ha avvertito fin dall’inizio: “Gorée è piccola per le sue dimensioni, ma è grande per la sua storia”. Su questa grande roccia lunga 700 metri e larga 300 metri si trovavano 28 case di schiavi, le “maisons d’esclaves”. In ogni casa – anche se chiamarla così è un eufemismo – erano stipati fino a 200 schiavi. Carichi di 5600 persone alla volta destinate alla schiavitù. 5.600 persone e molte altre a cui è stato tolto il diritto di vivere.

La “Porta del viaggio senza ritorno”: la guida ci racconta che vi siano passati da 15 a 20 milioni di persone. Si stima che circa 6 milioni di persone morirono durante il viaggio. C’erano 3 motivi per attraversare questa porta:

– Essere già morto

– Essere ammalato e gettato in mare per evitare che l’epidemia si diffondesse

– Essere venduto a una vita di fatica in un altro continente

Gli uomini venivano pesati come capi di bestiame. 60 chili era il peso minimo ed era il momento di andarsene. Pesavi meno? All’ingrasso. In quest’ultimo caso, ti ingrassavano come un’oca con una miscela a base di fagioli imbevuti di olio di palma. Bisognava aumentare di peso per essere sfruttabile.

I bambini erano destinati alla schiavitù, senza fare eccezione alla traite négrière. Le donne erano violentate. I meticci si trovavano in una casa separata, un rango sopra i neri, un rango sotto i bianchi.

Il ruolo centrale di Gorée nel commercio triangolare è stato dibattuto da storici ed esperti. Esistono diverse ipotesi sulla data di costruzione di quella che sarebbe l’ultima casa degli schiavi di Gorée. Al di là di ogni polemica, l’isola e la casa degli schiavi restano senza dubbio il simbolo delle devastazioni della tratta degli schiavi e di questo crimine contro l’umanità.

Passeggiando per le strade colorate di Gorée, è difficile immaginare l’orrore. Percorrendo la via di Castel che conduce al punto più alto dell’isola, è anche difficile immaginare la presenza del regime di Vichy oppure i padri, fratelli e figli selezionati sull’isola e inviati sul campo di battaglia “per” la Francia – les tirailleurs sénégalais. Oggi, nei vicoli colorati, tra le bouganville, se non si conosce la storia, si vede solo sole e tranquillità

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CAPITOLO II – Viaggio in un’altra dimensione nella regione di Kaffrine

Il tempo passa, il tempo passa e Kaffrine non è mai lontana.

Tra due baobab, una capra cammina. Nelle strade di Kaolack, un maiale e i suoi maialini siedono intorno a un mucchio di rifiuti. Le zanzare si autoinvitano a entrare in macchina.

Il tempo passa, il tempo passa e Kaffrine non è mai lontana.

Anche se non siamo abituati a condividere i marciapiedi con Peppa Pig e la sua famiglia, credo che nessuno di noi abbia la sensazione di essere testimone di una stranezza, perché tutto sembra essere al suo posto. I maiali che camminano per le strade di Kaolack non appartengono a nessun altro posto.

Un gruppo di bambini ci saluta e nomina tutti i giocatori di calcio che conosce. Sembrano tutti molto orgogliosi della propria maglia: “Sono il numero 10”, “Sono il numero 11” e così via. Ci chiedono soldi e se ne vanno citando giocatori con il sorriso sulle labbra.

Il tempo passa, il tempo passa e Kaffrine è lì.

Attraversiamo la città quando è già buio. È ora di cambiare mezzo di trasporto e di ripartire verso il villaggio di Ndioum Ngainth. Saremo probabilmente accolti dall’oscurità del cielo e dalla luce delle sue stelle.

Chilometri di cespugli. Una strada sterrata con crepe, dossi e sempre cespugli. Nella notte profonda, riusciamo a scorgere alcuni animali. Il tempo si dilata. Da quanto tempo siamo qui, persi in mezzo al nulla? È poi vero che sia ‘nulla’? Fuori fa caldo. Il tempo è piacevole. E alla fine della boscaglia, il villaggio di Ndioum Ngainth. Un bel benvenuto, un piatto seduti a terra sulla terrazza sotto un cielo pieno di stelle. All’interno della casa, il calore è quasi soffocante.

Iniziamo la giornata con il caffè touba: un caffè tradizionale senegalese aromatizzato al pepe. Primo giorno sotto il sole di Ndioum Ngainth. Un calore vertiginoso. Camminiamo tra le bancarelle del mercato, venendo accolti a ogni angolo. La gente si chiede da dove veniamo. Arriviamo alla scuola dove la costruzione delle aule e dell’aula magna è stata finanziata da un progetto di ISCOS ER, ANOLF Rimini, Cisl Romagna nel 2013 chiamato “Nangadef” – come stai? I pulcini che camminano nell’aula magna sembrano star bene.

Visitiamo i bambini della scuola primaria. Siamo accolti da canti e sguardi curiosi. Dopo aver salutato i bambini dell’elementare, decidiamo di andare all’asilo per dire ‘Bonjour’ ai piccoli di tre anni. Prima che potessimo tutti entrare in classe, i bambini hanno cominciato ad urlare di terrore. Piangevano a dirotto mentre cercavamo di fuggire dall’aula con l’aria meno terrificante possibile. La scena è tragicomica e ce ne andiamo mentre alcuni di loro ci guardano ancora da lontano piangendo, aggrappati alla porta o alla gamba dell’insegnante. Eravamo i primi bianchi della loro giovane esistenza.

Partiamo in direzione del grande baobab del villaggio. La leggenda narra che il fondatore di Ndioum Ngainth abbia piantato un ramo di baobab nel terreno, dando vita a questo maestoso albero. I baobab possono crescere soltanto piantando semi, eppure… Ci allontaniamo dalle case e ci troviamo in mezzo a un paesaggio arido. Incontriamo pecore qua e là e rifiuti da tutte le parti. Scarpe di bambini pendono agli alberi e dopo qualche minuto di cammino, decidiamo di tornare indietro e di rifugiarci al fresco della casa.

Sono le 15.00 e si avvicina l’ora di pranzo. I tessuti vengono stesi sul pavimento e si mangia seduti intorno a grandi piatti in cui intingere le mani, presumibilmente. Per noi ci sono le forchette. Thiéboudiène, un piatto tradizionale senegalese. Deliziosamente piccante. Carote, patate dolci, manioca, cavolo, riso, tamarindo e diversi tipi di pesce.

Un uomo entra nel soggiorno:

“Stanca?

– Sì, a causa del caldo.

– Adesso è fresco.

– Com’è l’estate?

– 35 gradi minimo.

– È troppo.

– Sì, è troppo.”

Difficile da immaginare.

Visitiamo il posto di salute ambulatorio. Il responsabile ci spiega che il denaro ricevuto dalle consultazioni viene reinvestito nelle infrastrutture dell’ospedale. Il prezzo di una consultazione è di 300 fcfa per un bambino (0,45€) e 600 per un adulto (0,9€). L’ambulatorio è composto da una sala di consultazione, una sala d’attesa, un ufficio e dall’altra parte del cortile, da una sala travaglio, una sala parto e una sala riposo post parto. Tutto è molto fatiscente. Il lavoro non procede spedito, ma hanno molti progetti per migliorare il loro posto di salute, anche se qui manca tutto, tranne forse la volontà e la solidarietà.

I motivi principali di consultazione sono il paludismo (malaria), la diarrea infantile e i problemi respiratori, probabilmente a causa della terra polverosa che respirano continuamente. Alcuni di noi si svegliano al mattino col naso chiuso a causa di quella stessa polvere. Come sarebbe dopo una vita a Ndioum?

Papa Modou Seck, presidente dell’Anolf di Rimini è originario del villaggio, riceve richieste da parte dei capi dei villaggi vicini per attrezzare un pozzo, per recintare un orto, per questo o quello. Le richieste sono continue perché i bisogni sono infiniti.

Passando per il centro di Ndioum Ngainth dopo la fine del mercato, scopriamo distese di plastica. Molti residui di buste di acqua monouso, imballaggi vari e probabilmente pezzi di plastica che sono qua da tanto tempo.

Andiamo a vedere il pozzo che irriga l’orto gestito dalla federazione di GIE del villaggio. Il primo pozzo attrezzato da ISCOS ER, Anolf Rimini e Cisl Romagna nella zona. Il primo di molti. Un gruppo di circa 7 bambini ci segue. Ci guardano sorridendo e ci parlano in wolof. Lungo la strada incrociamo altri bambini e anche loro si uniscono al gruppo. A poco a poco si moltiplicano e ci accompagnano al campo, cullandoci con le loro risate. Attraversiamo il cancello per vedere cosa coltivano le donne e loro ci aspettano. Passa mezz’ora e sono ancora lì, in attesa del nostro ritorno. Qui troviamo fagioli, bissap, anacardi, peperoncino, melanzane, manioca… e bambini dietro la recinzione.

“No to dou?”

I loro nomi sono Aissatou, Babacar, Awa, Abdou, Fatou, Assane (…)

Il giorno successivo ci rechiamo in una seconda scuola per la donazione di materiale scolastico da parte di ISCOS ER, Anolf Rimini e Cisl Romagna. Arriviamo e siamo nuovamente accolti da un’orda di bambini. Oggi il caldo è soffocante e i bambini si appiccicano a noi e vogliono stare in prima fila per osservare ogni nostra mossa e ascoltare tutte le stranezze che escono dalle nostre bocche. La cerimonia è lunga e in lingua wolof. Il materiale viene presentato al pubblico in dettaglio, oggetto per oggetto. È il turno della presentazione della delegazione senegalese: un parlamentare, il sindaco di Ndioum e il prefetto. Infine, fanno lo stesso per la delegazione italiana e per il resto del discorso… mistero. Proviamo a conversare con i partecipanti all’evento: a volte in francese, altre volte in italiano e la maggior parte delle volte, parlando con le mani.

Nel pomeriggio si va all’inaugurazione dell’ultimo pozzo attrezzato nell’ambito del progetto Fagarou di ISCOS ER, Anolf Rimini e la Cisl Romagna, cofinanziato dalla Regione ER. Il pozzo ha una profondità di 70 metri: l’acqua non è a portata di mano. Il pozzo è stato equipaggiato con pannelli solari, una pompa e una batteria. L’acqua viene utilizzata per irrigare l’orto dei GIE del villaggio di Medina Ndiayene. L’acqua per uso personale degli abitanti dista 12 chilometri. Siamo ancora l’attrazione dei bambini e otteniamo persino una dimostrazione di danza. Molte persone ci chiedono dei selfie, non cercano di scambiare con noi ma alcuni vogliono comunque una foto ricordo dei bianchi di passaggio. In mezzo a questa ampia piazza terrosa si trova un tavolo allestito da fiori di plastica circondato da sedie e divani, il tutto coperto da una tettoia. Vediamo che il nostro arrivo era atteso e la cerimonia inizia.

Ndioum Ngainth è un mondo diverso. È forse il luogo che più assomiglia al Senegal come lo immaginiamo, eppure non mancano le sorprese. Si rimane sorpresi dalla forza dei suoi abitanti, dai sorrisi dei bambini, dall’accoglienza, dalla cordialità… rimaniamo piacevolmente sorpresi della forza della teranga.

CAPITOLO III – Viaggio sull’acqua in Casamance

Dopo aver attraversato rapidamente il Gambia, arriviamo in Casamance. Il paesaggio cambia completamente. Vediamo sempre meno baobab e sempre più palme e altri bellissimi alberi che non siamo ancora in grado di identificare. Mentre guidiamo per diverse ore su una strada in costruzione verso Ziguinchor, ci fermiamo di tanto in tanto per osservare le scimmie che saltano da un ramo all’altro.

Superiamo il primo pescatore del viaggio. Fa qualche passo in acqua e lancia la sua rete rotonda che riporta a sé dopo qualche secondo. Torna a riva, scuote la rete, i pesci cadono a terra, li mette in un secchio e ricomincia l’operazione. Lanciare, tirare, scuotere, raccogliere. Lanciare, tirare, scuotere, raccogliere.

Riprendiamo la strada. Attraversiamo Ziguinchor, Oussouye e infine arriviamo a Cap Skirring e Kabrousse dopo 13 lunghe ore di viaggio.

Il giorno successivo abbiamo appuntamento con ISCOS Senegal al porto di Boudody a Ziguinchor per incontrare i pescatori, le donne trasformatrici e osservare i risultati dei progetti di diversi colleghi della rete ISCOS. Arriviamo verso le 11 ed è la fine del mercato, i commercianti iniziano ad impacchettare le loro cose. Gli avvoltoi si aggirano in attesa della loro parte di bottino. Ci vengono raccontati i metodi di pesca, le tecniche di lavorazione e la mancanza di mezzi. Veniamo a sapere che le grandi piroghe a volte partono per quindici giorni in mare con venti persone a bordo. Per concludere la mattinata in bellezza, saliamo anche noi a bordo di una piroga per scoprire la fauna e la flora selvatica del fiume Casamance. La nostra guida ci accompagna tra i bolongs dove osserviamo tanti tipi di uccelli tra le mangrovie: ibis tantalus, pellicani, chiurli, cavalieri d’Italia, garzette, sterne, aironi cenerini, avocette, fenicotteri, cormorani (chiamati “uccelli serpente” per il loro lungo collo), gazza martin pescatore e altro ancora. Lungo l’acqua, passiamo accanto a piccoli granchi marroni mimetizzati nel fango. Muovono le loro chele in su e in giù, da cui il soprannome di “granchi chitarra”.

Ci riuniamo con i partner locali del progetto Changements, l’ispettorato della pesca e i responsabili dell’Area Marina Protetta di Oussouye. E’ stata istituita da poco ed è la più grande del Senegal (circa 125 mila ettari). Sarà interessante partecipare insieme agli enti gestori e all’ispettorato della pesca locale al sistema di governance, accordi di gestione, tutela e salvaguardia di questa splendida area naturale e culturale.

Siamo partiti per quella che doveva essere una breve avventura: una passeggiata di dieci minuti verso un’area di riforestazione di mangrovie, accompagnati dai nostri partner locali del progetto Changements, ISCOS Senegal e AGADA. I dieci minuti si trasformano in mezz’ora di cammino sotto il sole cocente, mentre continuiamo a sentire “siamo quasi arrivati”. Ed è vero che quando iniziamo a esaurire le nostre risorse energetiche, raggiungiamo finalmente la nostra destinazione. Osserviamo il rimboschimento di mangrovie piantate tre anni fa e sei mesi fa. Altre verranno piantate nei prossimi mesi nel contesto del progetto, è una necessità infinita.

Sulla via del ritorno, parlo con un partner casamançais: “Non mi piace il termine animista che ha una connotazione peggiorativa perché significa che si crede in tutto e quindi non si crede in niente”. Così mi ha confidato che preferisce usare l’espressione “religione del terroir“, dove la natura è un intermediario tra gli uomini e Dio, un unico Dio. Mi spiega che alcuni Diola credono nella reincarnazione e che altri hanno credenze che condividono molti punti in comune con le tre grandi religioni monoteiste. Forse non ci sono solo “tre vie verso un unico Dio”, come aggiunge:

“Tutte le strade portano a Roma.

– E tutte le religioni portano a Dio.”

Mi dice anche che nella società Diola della bassa Casamance, il riso è un importante simbolo di ricchezza. All’epoca in cui non c’era denaro, si commerciava con il riso: se il granaio era pieno di riso, la famiglia era benestante. La coltivazione del riso occupa quindi un posto centrale nella tradizione e nell’economia Diola.

Apprendiamo che le mutilazioni genitali femminili sono ancora praticate in Senegal, in particolare nella regione di Kolda, e che vanno dall’escissione all’infibulazione, con i relativi problemi di salute e dolore. Questa pratica è vietata nel Paese dal 1999 e dobbiamo riconoscere i progressi compiuti a partire dagli anni 2000 con la diminuzione di questa pratica, ma purtroppo non è stata sradicata. Una donna mutilata è già di troppo.

Eccoci arrivati al porto di Cap Skirring dove la puzza di pesce invade le nostre narici. Sulla spiaggia c’è gente dappertutto. I pescatori tornano dalla loro notte in mare con le reti piene di pesce; i ristoratori cercano di attirarci nelle loro piccole baracche di legno per assaggiare le loro specialità; le donne aspettano che i pescatori tornino con i secchi da riempire di pesce per la vendita; i bambini e i ragazzi sono seduti qua e là a contemplare il mare… quello che possiamo dire è che c’è molta animazione! Camminiamo sulla spiaggia, con l’Atlantico alla nostra sinistra e una lunga serie di piroghe colorate alla nostra destra. Ci imbattiamo in una carcassa di delfino e in avvoltoi che la banchettano. Alcune persone sono impegnate a pulire il pesce, altre a essiccarlo, un uomo sta preparando le reti e le donne lavorano tra i forni e le vasche di fermentazione. Siamo sorpresi dalla presenza di specie a rischio di estinzione che sono state catturate in grandi quantità. Poco a poco scopriamo che molti ghanesi li pescano sulla costa senegalese per commercializzarli nel loro paese dove la popolazione ne è molto ghiotta. Ci imbattiamo in cumuli di granchi, interiora di pesce, conchiglie… Quasi tutti i nostri sensi sono in allerta. C’è un gran baccano in quella che sembra una riunione di pescatori, c’è sempre quel forte odore di pesce (non sempre fresco) e i nostri occhi sono sollecitati da mille dettagli.

Ci ricorderemo del salvataggio di squali violino, specie minacciata di estinzione, da Linda del Cestha che li aiutava ad ossigenarsi prima di rilasciarli in mare. Ci siamo comunque chiesti quanto tempo sarebbero sopravvissuti circondati dalle piroghe dei pescatori.

Visitiamo un centro artigianale per persone con disabilità, che è sinonimo di pratiche inclusive, socializzazione e opportunità di lavoro. Con pochi strumenti e molta fantasia, anche una partita a dama sulla sabbia diventa realtà. In Senegal, e in particolare nella società Diola, le persone con disabilità sono spesso discriminate, alcune vengono nascoste volontariamente e quindi non hanno la possibilità di socializzare. Ciò è dovuto al fatto che la disabilità viene talvolta equiparata a una maledizione, a un peccato e quindi a una punizione, o all’opera di uno spirito malvagio. Queste convinzioni portano inevitabilmente alla paura e alla vergogna.

Non sono abbastanza lontani per non vederli, né abbastanza stranieri per dimenticarli. Non sono abbastanza vicini da riconoscerli, né abbastanza familiari da scrivere una storia comune con loro. Se li incrociamo qua e là, a volte giriamo la testa, distogliamo lo sguardo o li osserviamo da lontano, come passanti speciali su un altro percorso, emarginati, relegati. Nel nostro corridoio di traffico ben segnalato, non attraversiamo quasi mai per raggiungerli; non rischiamo di avvicinarci troppo […]. Le linee di demarcazione che li tengono a distanza, gli sguardi indifferenti o stigmatizzanti che li “invalidano” ed emarginano non sono fatali: ciò che li rende fatali è considerarli tali. Dipendono da noi: la nostra responsabilità individuale e collettiva è impegnata.

 Citazione di Charles Gardou, antropologo e professore universitario francese, specializzato in questioni legate alla disabilità, in particolare nell’analisi culturale del rapporto tra le società e le persone con disabilità.

Oggi ci siamo avventurati nelle acque del fiume Casamance, letteralmente. Non sapevamo che il luogo dove installare i nostri raccoglitori di ostriche fosse impraticabile a piedi durante l’alta marea, così ci ritroviamo con l’acqua fino ai fianchi. Dopo dieci minuti di nuoto improvvisato tra le mangrovie, siamo finalmente arrivati. Quali altre avventure ci riserva il nostro partner AGADA? Non lo sappiamo, ma ci fa ridere di cuore. È stata scelta quest’area perché qui i gruppi di donne raccolgono le ostriche che si aggrappano alle radici delle mangrovie, ma spesso tagliano parti delle piante, rischiando di rovinarle o danneggiarle gravemente. Questa azione progettuale faciliterà la raccolta e la protezione delle mangrovie, favorendo il ripopolamento della fauna ittica grazie alla partnership con il Cestha di Marina di Ravenna. Per la protezione degli habitat del fiume Casamance, altre attività come il rimboschimento della specie di mangrovia Rhiziphora e la mappatura delle aree rimboschite e di altre aree minacciate dalla siccità saranno avviate con il progetto Changements con il contributo della Regione Emilia-Romagna.

Giorno di riposo. Succo di bissap (carcadet) in un chiringuito chiamato El Dorado sulla spiaggia delle mosche. Mosche ce ne sono poche, invece le mucche sono tante. Discuto di tutto e di niente con il cameriere che finisce per dirmi quella che diventerà la piccola chicca del giorno:

“Da te le carote sono tutte lunghe e affilate. Le mele sono troppo rotonde. Qua, si dice che le verdure dalle forme più particolari sono le migliori. In questo modo sappiamo che non sono state selezionate o troppo trattate e che probabilmente sono naturali.” Ed è vero che nel nostro Paese la verdura viene selezionata in maniera puntuale, gettata, lucidata e deve essere perfettamente perfetta, senza la minima irregolarità che osiamo chiamare “difetto”.

Ci rechiamo a Kafountine per incontrare i responsabili della riserva ornitologica di Kalissaye. Impariamo a conoscere la loro strategia di conservazione delle tartarughe. Si è iniziato con una sensibilizzazione per far capire agli abitanti dei villaggi vicini l’importanza di proteggere le aree di riproduzione delle tartarughe e di non mangiare le loro uova. In secondo luogo, durante la stagione riproduttiva, le aree interessate vengono monitorate giorno e notte e viene installata una griglia intorno alle uova per proteggerle. Purtroppo, la grande difficoltà per i protettori della riserva è quella di arrivarci! Si trova a trenta chilometri dalla città in piroga e spesso non possono permettersi di comprare il carburante per il viaggio di due ore e mezza. I nostri partner del Cestha sottolineano che fanno comunque meglio di alcune riserve italiane con i mezzi che impiegano per proteggere le tartarughe marine.

Città di Sédhiou e cambio di scenario. Le strade sono asfaltate, in buone condizioni, si sta bene. La città è vivace, animata ma non troppo, c’è molta gente al mercato ma non è soffocante. La vicinanza del fiume consente l’allevamento di pesci e soprattutto la pesca di gamberi, ma la domanda è alta e l’offerta spesso scarsa. Passiamo davanti a una casa e una scimmia è legata a un albero con una catena. Salta su e giù cercando disperatamente di liberarsi. Che altro dire? Passeriformi blu, ghiandaie, grandi pipistrelli e la speranza di intravedere un coccodrillo.

Andiamo a incontrare un gruppo di donne che lavorano nelle risaie intorno a Sédhiou. Entrando nel piccolo cortile di una casa, ci presentiamo a dieci signore sedute all’ombra di un albero di mango. La prima impressione che ci colpisce è la loro età avanzata. Anzi, ci dicono subito che all’inizio delle loro attività, erano 300 donne ma che alcune sono decedute e altre sono troppo anziane per lavorare. Ci confidano le difficoltà del loro lavoro, la mancanza di attrezzature e di mezzi. La loro raccolta è destinata solo all’autoconsumo. Non è sufficiente per il commercio o per nutrirsi tutto l’anno. Hanno molti problemi a coltivare: mancano le sementi, i fertilizzanti, un solo trattore per un intero dipartimento… manca tutto, non c’è niente. La strada è lunga, il lavoro è massacrante e il risultato è scarso. I soldi? Inesistenti. Ci parlano del loro problema di spazio, del loro desiderio di avere una sala riunioni per avere un luogo più adatto a fare il punto della situazione, un luogo che non sia l’ombra di un albero in un cortile, circondato da galline e cani. Questi sono purtroppo commenti ai quali iniziamo ad abituarci. Il 2022 è stata la peggior annata a causa delle troppe piogge e quindi dall’esondazione del fiume che ha inondato le risaie e portato un eccedente di sale nelle coltivazioni. Ci parlano di cambiamento climatico e purtroppo, anche questa tematica è ricorrente.

Partiamo per l’ultima spedizione del viaggio accompagnati da ISCOS Senegal e AGADA. Naturalmente ci chiediamo quale sarà la nostra avventura del giorno. Non ci possiamo aspettare di meno. Sappiamo che dobbiamo andare a vedere una tecnica di raccolta delle ostriche ma non sappiamo quale sorpresa ci aspetta lungo la strada. Lo scopriremo presto. Viaggiamo su strade sterrate circondate da una bellissima flora selvatica. Siamo circondati da boschi sacri, intoccabili e protetti e il risultato è una natura incontaminata e impressionante. Passiamo attraverso tre posti di blocco dove i militari ci fermano per sapere perché siamo qui. Siamo molto vicini al confine con la Guinea Bissau. Finiamo per ricevere la risposta alla domanda “quale sarà l’avventura del giorno” ed è “un viaggio nel territorio dei ribelli”. Tutto va per il meglio, osserviamo le ostriche che iniziano a proliferare sui collettori e ce ne andiamo. Ripartiamo per un viaggio di 21 ore verso Bologna con una sensazione di tristezza, come quando si finisce un bel libro. Aspettiamo il volume 2.

Marion Lucas

Grazie ai partner in loco del progetto CHANGEMENTS per averci accompagnati – ISCOS Senegal e AGir Autrement pour le Développement en Afrique (AGADA).

Grazie ai nostri compagni di viaggio e partner della CISL Romagna, Anolf Rimini, Anolf Sénégal, Anteas Servizi Emilia-Romagna e il Centro Sperimentale per la Tutela degli Habitat (CESTHA).